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campo al tramonto

XIII > Premessa settima: “Virus”. c) Ricostruzione decentrata e solidale

Siamo nell’ampio vortice ormai di un’emergenza che, ovunque mutevolmente avanzando ed arretrando, si è di fatto imposta su scala mondiale come attuale e dominante. Non è che un momento della nostra storia e, come tutti i momenti, passerà. E, col passare del tempo, apparirà sempre più marginale. L’attualità tende ad avere un valore naturalmente più intenso e centrale. Guardare da lontano poi consente anche di vedere meglio, anche se spesso si smarrisce il vero valore di una visione. Ma quel che questo momento porta dentro, come del resto ogni altro evento significativo, resta un messaggio di enorme portata che rimarrà custodito, ma potendosi quindi anche nascondere, tra le pieghe della storia. Anche in questa prospettiva futura, approfondendo ulteriormente il quadro, nel tracciare ulteriormente questa lunga serie di premesse allo scritto del “Male Armonico”, sottolineo adesso e ancora la dominante attualità di questa crisi che la nostra specie ha dovuto attraversare, con l’opportunità di mettere all’attenzione alcuni aspetti significativi il cui valore credo si affermi indipendentemente da una specifica cella temporale.

Malgrado le inevitabili corruzioni operanti e le connivenze, le dilaganti ignoranze indifferenti o sentenzianti, le preoccupazioni esasperate e le non curanze insolenti, in attesa dunque di linee rischiarenti, nel dubbio generale di quanto possa essere grave la situazione, potrebbe anche ritenersi efficace l’adozione di un comportamento preventivo che assuma come reale il più alto rischio di contagio verosimilmente ipotizzabile. Eppure, anche in questo caso, nel conseguente innalzare la soglia dell’attenzione, dovrà pur sempre considerarsi la presenza di un quadro critico evidentemente differenziato, senza che si possa accantonare la necessità di una razionalità concreta giustamente temperante. Il pericolo stavolta è quello di cadere in eccessi precauzionali, perdendo di vista certe effettive esigenze sociali che sono tipiche, e relativamente non oltremodo comprimibili, di ogni individuo.

Nel vortice di alte onde vanno di certo evitate rischiose riduzioni di attenzione, ma senza perciò cadere nell’imposizione di paralisi avventate non sostenibili e di norme comportamentali frutto di valutazioni troppo leggere, poco ponderate, spesso illogiche e non coerenti. A ogni livello, dai governi ai singoli individui, dovrebbero giungere azioni e segnali responsabili e lungimiranti. Al di là di periodi di relativa tregua, quando si abbia la fortuna di momentanei arretramenti delle criticità oggettivamente rilevabili, allora i tempi per un’effettiva ripartenza non sono mai brevi. Anche per questo devono essere efficacemente limitati danni che, altrimenti, sarebbero smisurati. 

Cosa fare, dunque, per fronteggiare al meglio un periodo di crisi dovendo al contempo sanare e ricostruire le basi e le condizioni stesse di un futuro con maggiore forza e preparazione? Come comportarsi? Al di là di una lista di possibili azioni concretamente utili, credo che adesso, ancor più utilmente, si debba piuttosto guardare a quel che invece possa ispirare la migliore efficacia di quelle azioni. Dobbiamo semplicemente iniziare ad agire con amore.

L’amore, sorretto dalla fede, è la forza armonica più rivoluzionaria. Amiamoci e, come noi stessi, amiamo la natura della nostra terra. E lasciamo allora che tutto quanto affiori. Con amore ascoltiamo ed impariamo. Con amore rivediamo i nostri “modelli”. Con amore cambiamo. È necessario muovere i passi da un nostro risveglio interiore che ci conduca ad aprire davvero gli occhi al mondo. 

Non possono che essere tendenzialmente immobilizzanti quegli attacchi che mettano seriamente in crisi le nostre certezze e la nostra stessa vita. Con l’evidente eccezione di quei casi in cui ci si trovi costretti tra i fuochi diretti di una drammatica trincea, in ogni condizione e luogo, e ancor di più dove si abbia il vantaggio di una qualche tregua, è bene restare in una serena e critica apertura. Necessita un’umile e prioritaria comprensione delle nostre mancanze affinché, con urgenza, ci si si possa efficacemente mobilitare per realizzare la pace armonica delle creature. 

Con ogni possibile risorsa – e non solo del nostro ingegno, ma anche materiale –, dobbiamo impegnarci per una prioritaria ricostruzione profonda del nostro assetto comunitario, definendo un sistema che possa rappresentarci e  proteggere il nostro futuro.
Questo è il cammino per l’indipendenza armonica.
È tempo di dedicarci alla nostra crescita, affrancandoci dalle globali dipendenze di un sistema che ha ormai esaurito la sostenibilità stessa del proprio corso. È dunque il momento di renderci realmente indipendenti e comprendere quanto sia indifferibilmente urgente un ritorno alla terra: riconsideriamo la miracolosa sua capacità produttiva come la possibilità che ciascuno di noi ha di raccogliere ed acquisire tutto ciò che sia riconoscibile come assolutamente necessario. 

Abbiamo bisogno di recuperare la capacità di assicurarci la produzione diretta, e comunque il meno possibile accentrata, dei beni alimentari necessari alla sopravvivenza, come anche la produzione delle risorse energetiche di base. Così anche potremo globalmente eliminare la disoccupazione, ciascuno esercitando in proprio quel “lavoro minimo” utilmente necessario per il sostentamento e per la nostra fondamentale realizzazione interiore. Garantita questa base minima ogni altro lavoro potrà con maggior valore conseguire. E se avremo intanto sufficientemente sviluppato le nostre tecnologie al vero servizio dell’umanità, allora verrà presto il momento in cui potremo ricevere il necessario dai sitemi di governo con la possibilità di dedicarci al lavoro, di qualsiasi tipo, nella sua accezione più pura, svincolandolo quindi dal circolo vizioso dell’ottenimento di ricchezze materiali.

Abbiamo dovuto conoscere ed imparare a convivere con l’assurdo fenomeno della disoccupazione principalmente a causa della nostra sistemica dipendenza, e ancora restiamo tragicamente non affrancati per l’essenziale. L’indipendenza armonica , con il ritorno alla terra, e con la potenzialità delle nuove tecnologie, è la via per continuare a vivere insieme in un sistema organizzato attraverso la fondamentale forza di un’autosufficienza minima. In attesa che venga realizzata l’indipendenza di ogni individuo in seno a qualsiasi comunità – attraverso quindi una iniziale disponibilità minima di una terreno che consenta di soddisfare le esigenze alimentari di ogni nucleo familiare –, si potrà cominciare col garantire le condizioni per un’autosufficienza essenziale alle comunità più piccole. Per questa via sarà sempre più vicina la realizzazione delle nostre personalità attraverso il lavoro, operando in un clima ricostituito di fondamentale libertà.

Questa è la via per la piena ed universale attuazione di quel diritto di tutti al lavoro per cui fortemente abbiamo sempre lottato. Lavorando a contatto con la terra potremo essere tutti “liberamente impiegati” e senza più alcuna disoccupazione. Al tempo stesso bisogna però ridurre quel nostro dipendere da un sistema che, attraverso la promozione ed il consolidamento di tutta una serie di “nuovi lavori”, fatta anche salva la loro importanza, ci ha progressivamente separato dall’accesso alle nostre risorse naturali.

Siamo schiavi. E non ne siamo più neppure consapevoli. Siamo stati comprati da un sistema di falso benessere. Questa la triste e drammatica verità. I frutti delle primarie necessità sono stati normalmente concessi in cambio del denaro proveniente da quei lavori che, se pure importanti ed edificanti, si sono però progressivamente sconnessi dalla nostra base contribuendo, con una certa loro forza attrattiva, al progressivo abbandono dei lavori tradizionalmente più legati alla terra. 

Come già ampiamente verificato, le problematiche tragicamente emergono quando, per un qualsiasi motivo, il “modello accentrato” vada in crisi. Dobbiamo pertanto avviare un processo che ci conduca a dipendere sempre meno dalle concessioni di un sistema globalizzato che, mentre detta ritmi sempre più alienanti, resta prevalentemente ispirato a modelli economici oltremodo tesi allo sviluppo di un benessere fittizio e, comunque, di fatto insostenibile. Non stupiamoci di come poi un tale sistema, quand’anche soltanto costretto a minimamente rallentare il ritmo, inevitabilmente trascini tutti nel caos più totale. 

Occorre lottare, pacificamente, ma con la massima forza e determinazione, affinché i sistemi sociali, attraverso l’operato di risanati governi, comincino di fatto col restituire al popolo il bene comune della nostra terra. 

Ma, ancor prima, dobbiamo comprendere che non potremo mai davvero evolverci – e non solo spiritualmente, ma anche organicamente – se non sapremo riabbracciare la terra nella durezza della sua stessa semplicità; se non sapremo tendere la mano; se continueremo a prendere le distanze dai diversi, dai poveri, dai deboli, dai malati, come se appartenessimo ad universi separati; se non faremo la pace con quel “diverso che è anche in noi”. E questi sono anche i nostri “sogni di rivoluzione”. 

Ci siamo illusi di poter evitare quella precarietà, quel dolore, quella fatale impotenza, tutto ciò di cui abbiamo terribilmente paura, come se le cose meno gradite non facessero parte di un nostro mondo personale (evidentemente anche presunto come l’unico che conti qualcosa!). 

È decisivo spostare l’accento dalla ricerca di godimenti troppo leggeri all’ascolto delle manifestazioni più profonde dell’arte, come del pensiero e, soprattutto, dello spirito. 

Non potremo mai crescere e definitivamente fortificare le strutture elementari delle nostre vite se resteremo fatalmente vulnerabili ed esposti alle dipendenze di un sistema liberale che ha da tempo smarrito i valori più intimamente fondanti, se non ritrovandosi nell’affermazione di un sempre più esasperato individualismo materiale. La vera crescita risiede nel favorire quella capacità di pacifica convivenza delle giuste diversità, nel prioritario attivo riconoscimento di un sacro fondamento armonico essenziale.

(aulicino)