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punto nel buoi

XI > Premessa settima: “Virus”. a) Il contagio

Dal momento in cui ha avuto inizio quest’indesiderato “corso virale” è passato quasi un anno ormai, e ho preferito restare tacitamente in ascolto. 

E nuovamente si giunge alle inevitabili ricadute. Milioni e milioni di contagiati ovunque, e malati. Tanta sofferenza, fisica e psichica, con lunghi estenuanti sacrifici richiesti e privazioni, angosce, patimenti, morte. Il quadro non è di certo rassicurante. Ed è anche bene prendere piena consapevolezza di ciò. Eppure, al tempo stesso, è bene restare ottimisti e sereni. Non solo abbiamo modo di guardare alle tante guarigioni che, pure in assenza di risolutivi farmaci e vaccini, si stanno di fatto verificando, ma anche e soprattutto cominciamo a comprendere il significato più profondo di una “crisi”. Ma, per questo, bisogna anche maturare una visione il più possibile ampia e profonda degli eventi. 

Anche in considerazione di un mio infinito innato ottimismo, non ho assolutamente intenzione di alimentare scoraggiamenti o panico. Sono momenti in cui occorre restare più positivi e forti del solito. Ma so pure che ci si fortifica con il coraggio della verità. Ritengo pertanto sia opportuno considerare anche quegli aspetti potenzialmente più tragici di una situazione “al limite”. Tuttavia, anche nei momenti peggiori, ferma restando una giusta preoccupazione, è di cruciale importanza tenere l’animo tranquillo.

Abbiamo la responsabilità di tutelare la nostra salute attraverso un’adeguata prevenzione e cura delle malattie; ma anche, e soprattutto, occorre prestare estrema attenzione alla diffusione di importanti loro cause, come le ansie e certe comprimenti manipolazioni che, anche inconsciamente, ci ritroviamo a subire. Soprattutto durante i momenti più difficili, resta la grande opportunità di riconoscere le meraviglie della “fragilità esistenziale” come una delle nostre forze più grandi. Questa fondamentale condizione di fragilità è uno dei principi dell’Armonia. 

Non può essere eliminata la presenza del “male” dalla nostra esistenza. Sono onde che vanno e, modificandosi, in un qualche modo ritornano, soprattutto quando certe contaminazioni profondamente avvengono. E quand’anche un’onda così imponente come quella del “Covid 19” arretri, essa poi non si lascia mai del tutto scoprire nelle sue trame complesse, divenendo difficile un totale sradicamento. Nel migliore dei casi, la potenza di un contagio importante si nasconde soltanto ai raggi aperti di una qualche stagione, di norma riprendendo proprio quando ci si chiuda troppo per la paura. Ciò che si ripresenta, quindi, non è mai identico. Tutto cambia. Non ci si può certamente illudere che una forma vivente sia cristallizzabile, né al contempo presumere possano essere una volta per tutte consolidate soluzioni a problemi che dipendono da organismi in naturale evoluzione, soprattutto poi quando si tratti di alterazioni fisiche appartenenti all’ordine delle cose definitivamente “più piccole” (o “più grandi”). La mutazione fa parte della vita, ad ogni livello. Ma è anche vero, e va semplicemente accettato, che le trasformazioni divengono a volte così estreme da porre fine ad alcuni fenomeni vitali, conducendone l’esistenza su altri piani. Il punto, semmai, è se si possa fare davvero qualcosa per non essere responsabili di accelerazioni improprie, o dello sviluppo di variazioni e resistenze dovute ad abusi irresponsabili, come nel caso di pericolose leggerezze causa di trasmissioni evitabili, o nel caso di incontrollata diffusione di vaccini, soprattutto senza un adeguato collaudo, o quando di dubbio valore. Oppure, al contrario, il punto è se si possa riuscire a influenzare positivamente, e per tempo, l’andamento tendenzialmente disintegrante dei corsi vitali, ciò che potrebbe concretamente avvenire soprattutto attraverso un saggio utilizzo delle nostre grandi possibilità tecnologiche. 

Siamo globalmente esposti all’ennesima crisi terrestre. Ed eccoci! Immersi in una generale leggerezza, sempre affaccendati ad aumentare il nostro benessere materiale mentre ancora, e con grave colpevolezza, confermiamo non solo l’incapacità di produrre un radicale rinnovamento, ma anche riperdiamo l’opportunità di poterci risvegliare, quanto meno per evitare il prevedibile. Avrebbe potuto essere diversamente? Avremmo potuto e dovuto agire meglio? Senza dubbio. Se si imparasse a sentire più in fondo la natura e la vita, operando con maggiore rispetto, si sarebbe meno vulnerabili e di certo più vicini alla nostra stessa “umanità”. Ci siamo ritrovati a pagare prezzi troppo alti, per poi riperdere l’occasione di farne tesoro, di prepararsi adeguatamente alle inevitabili ricadute. Ma così ancora una volta non è stato.  Evidentemente, per come accaduto, eppure così doveva essere.

Non è la prima volta che ci si scopre non impegnati a costruire per il vero bene, se non anzi a sperimentare oltre il giusto. E non è la prima volta che esseri “diversamente animati” si siano ritrovati a dover condividere esistenze poco compatibili, conflittualmente costretti ad agire su ristretti campi vitali comuni. Cose del genere accadono quando, in un qualsiasi modo, sotto spinte esasperate e ripetute forzature, corsi naturali sono alterati causando nefaste contaminazioni collidenti. 

Siamo tutti intimamente parte della natura. È da stupidi e stolti pensare di poter sfuggire alle conseguenze delle nostre azioni, delle nostre scelte, delle nostre stesse omissioni. È da irresponsabili pensare che le colpe siano di questo o di quell’altro; e ancor di più lo si è quando, anche ingenuamente, si voglia credere che le cose potranno presto ritornare come prima, alla “normalità”! Niente è come prima. Questa è la più pericolosa delle illusioni e, peraltro, soltanto falsamente consolante. Tutto cambia. Bisogna piuttosto avere il coraggio di vivere il cambiamento. Ma soprattutto bisogna avere il coraggio, con le nostre scelte, di essere responsabili di quel cambiamento che profondamente vogliamo, in noi stessi e nel mondo. Non basta soltanto sapere. Occorre essere nel bene, e allora comunicare, agire, esporsi, condividere, partecipare. 

Chiamati a qualche sacrificio, siamo spesso così incendiati dal desiderio di recuperare le nostre libere e tanto desiderate abitudini da finire poi puntualmente con il sottovalutare, se non addirittura col non vedere, l’assoluta importanza di una preliminare presa di consapevolezza di nostre gravi derive etiche. Siamo purtroppo generalmente volti al bieco servizio di un benessere superficiale che ricerchiamo senza alcuna moderazione. E pensare che tante nostre mancanze interiori sono poi tra le principali cause della necessità stessa di quei nostri richiesti sacrifici.

In modo simile, non riusciamo più a vedere la generale evidente insostenibilità di nostri tanto cari e comodi modelli economici e di ormai consolidati dinamismi sociali, naturalmente e umanamente di fatto inadeguati. Non può che essere desiderabile mettersi e mantenersi in “movimento”, essendo anche il movimento una delle espressioni più evidenti della nostra stessa vitalità. Ma ancora più importante è recuperare quella coscienza che segna il buon senso di ogni vero movimento di vita che, prima d’ogni cosa, rispetti la vita stessa. 

I “contagi oscuri”, soprattutto quelli potenzialmente portatori di malessere e morte, non possono che fare paura. Ma si abbia una giusta paura e, soprattutto, non la si sfrutti impropriamente. Una giusta paura può di certo aiutarci ad essere più responsabili. Ma non lasciamo che l’incubo di un contagio comprometta le nostre intelligenze e la serenità. Non lasciamo che sia infettata la buona luce dei nostri animi più profondi. Conserviamo la capacità di filtrare, di analizzare criticamente e valutare ciò che accade su diversi piani. E, sempre nell’armonica potenza della pace, con amore si faccia fronte comune, anche quando non siano ancora reperibili sufficienti elementi di riflessione e chiarezza. Nel rispetto di giusti limiti non lasciamo che venga violata la nostra libertà essenziale. 

Per vivere veramente bisogna anche accettare di poter morire. Una paura eccessiva risulta paralizzante e seriamente pericolosa. 

A causa del virus che è sotto gli attuali riflettori e delle conseguenti diverse norme di contenimento – che hanno finito col toccare pesantemente l’economia di base e la stessa vita privata –, ai fini di una riflessione generale sul “male armonico”, è anche utile elaborare il quadro sintetico di una situazione psicologica di grande e stressante confusione che, per vie sottili e non ancora pienamente manifeste, è globalmente esplosa in seno alle diverse famiglie. Non si sa più cosa sia giusto fare. Ci si ritrova divisi e costretti a gestire situazioni di vita quotidiana in un generale clima di conflitto. Il tutto sul pesante sfondo di una parallela diffusa comunicazione martellante che – mentre lavora per creare le condizioni psicologiche più opportune affinché il popolo accetti una serie di limitazioni al confine –, non può che anche accrescere un forte allarme generale, oltre al generare attraverso uno stress diffuso un pericoloso indebolimento e una conseguente maggiore esposizione.

In via preliminare è importante  comprendere che, diversamente da come appare, non c’è una netta corrispondenza tra la rigidità di talune norme e sanzioni variamente imposte, da una parte, ed un reale connesso pericolo virale, dall’altra. Per questo anche assistiamo al tragico spettacolo più o meno mascherato di vari governi costretti a regole spesso esasperate e controproducenti, nonché pronti all’imposizione della prima “santa soluzione chimica” che prometta la definitiva “distruzione del male”. Si assiste al tentativo disperato di compensare una gestione gravemente deficitaria di assetti istituzionali, di vari servizi pubblici e, in particolare, di quelli relativi alla sanità. Ma i veri problemi giungono quando si diffondano come uniche e necessariamente globali talune soluzioni farmacologiche dalle quali, dopo apparenti benefici iniziali, finiremo poi drammaticamente col dipendere. Nel tentativo estremo di tenere in ordine un sistema politico ed economico, al servizio peraltro di un benessere sempre meno essenziale – eppure globalmente sempre più accreditato come desiderabile e normale! –, per queste vie presto si consumerà purtroppo la tragedia della nostra specie vivente come sempre più indebolita e separata. Ed eccoci ancora in lotta contro altre forme di vita con le quali – in un processo più naturale, sia pur più lungo e difficile, anche pagando alti prezzi – dovremmo invece imparare a convivere. Nell’affrontare le nostre sfide, resta senza dubbio fondamentale l’ausilio di quell’incredibile capacità tecnologica che siamo già stati in grado di sviluppare, ma è altrettanto fondamentale restare nei binari di un saggio suo utilizzo. È infatti determinante la preferenza che andrebbe sempre accordata alle vie naturali, in assoluto e indubbiamente le migliori per la vera risoluzione armonica di ogni problema, soprattutto se in una prospettiva vitale a lungo termine.

Malgrado ciò, messe da parte le diverse colpe (che sono sempre ed infine di noi tutti!), resta il fatto che, per chi si trovi alla non facile responsabilità di un governo, non è poi obiettivamente semplice gestire situazioni di alto grado critico senza che almeno un fianco non risulti esposto ai più feroci attacchi.

Dal punto di vista del popolo, in balia di un terrore radicalmente diffuso, insidiosi problemi psicologici ulteriormente emergono quando davvero si creda di poter attuare un comportamento sociale di totale precauzione nel tentativo, ben presto disperato, di volere azzerare le occasioni di contagio; all’altro estremo, invece, ci si ritrova a declinare ogni possibile limitazione e precazione, giungendo addirittura a negare che esista un problema. 

La soluzione più saggia, armonicamente ispirata, è indubbiamente quella di comportarsi cercando di comprendere le difficoltà generali di certi momenti critici, certamente agendo nel tentativo di limitare le possibilità di contagio, ma anche nella consapevolezza di come la soluzione non possa perciò soltanto essere quella di una totale chiusura relazionale. È bene infatti proteggersi, ma tenendosi anche aperti ad un ragionevole rischio. Senza un’adeguata apertura infine ci si ammala, quando le menti restano oltremodo compresse e quando i corpi non possono più liberamente respirare. 

Gravemente smarriti ed esposti, ci ritroviamo a vivere con difficoltà e costante tensione. Immersi e confusi tra mille regole, condizioni e limiti in continua evoluzione, non sappiamo se, per esempio, ci si possa più vedere o non vedere con qualcuno; cosa si possa fare o non fare; se e quanto debbano essere sacrificati anche quei momenti conviviali più intimi; se sia giusto poter trascorre del tempo a pranzo insieme con i nostri stessi conviventi, sapendo che ciò potrebbe pur sempre esporre ad un qualche rischio. Chi non stia rigidamente isolato in casa, infatti, non può che potenzialmente entrare in contatto con “asintomatici”, ovunque minacciosamente sparsi.

Ora, a differenza di quanto spesso si pensi e si voglia anche far credere, è naturale che gli “asintomatici puri” (non quindi i “pre-sintomatici!) abbiano una carica virale non particolarmente attiva (non avendo di fatto consentito uno sviluppo sintomatico del virus), pertanto con probabilità di trasmissione molto basse. Malgrado la comunità scientifica risulti spesso divisa (in nome di una scienza evidentemente non così assolutamente scientifica!), autorevoli scienziati, e diverse “personalità” anche, si sono pronunciati in tal senso (sempre per quello che possa valere). Ma, fuori da un’analisi necessariamente tecnica, basta spesso soltanto un po’ di sano ragionamento per giungere all’evidenza di talune verità.

Per una maggiore serenità psicologica, è anche bene non dimenticare che “contagiato” non significa “malato” e che, stando almeno a recenti dati ufficiali di vari studiosi, la malattia del virus “Covid-19” insorge attualmente nel 5% dei contagiati. Di questi, poi, tende a sviluppare un’effettiva gravità solamente chi abbia importanti patologie ed un’età che possono esporre ad uno stato di salute precario. Non si deve minimizzare e sottovalutare un problema. Interpretarlo nel modo più corretto possibile consente di affrontarlo al meglio. In caso di incubazione poi, i sintomi si manifestano in genere nel giro di non molti giorni e anche i guariti, se ancora positivi, tendono a presentare ridotte possibilità di trasmissione. Ed è stato riconosciuto che, affinché sia effettivamente possibile un contagio, occorre pur sempre uno stretto contatto ravvicinato con un “positivo”, sempre che ci sia una significativa carica virale, e per un tempo tutt’altro che fugace. Si sanno e possono sapere tante cose. Ma al momento critico sembra che non si sappia più nulla, mentre anche c’è chi sa tutto e, per una qualche insondabile spinta, sembra adori alimentare i conflitti, nell’ostentata volontà di risolverli.

Insomma, non è certamente condivisibile l’estremo di chi si comporti negando un problema reale (spesso al cieco attacco del “sistema” e di chiunque la pensi diversamente!). Ma neanche è condivisibile l’atteggiamento di chi, in preda alla paura, si comporti esasperando un problema alla ricerca di una presunta protezione totale (e anche questi, infine, pronti all’attacco di chi la pensi diversamente!). Non si può criminalizzare chi decida di continuare a vivere tenendo una minima, giusta e saggia apertura. Ma anche, escludendo comunque e sempre condanne, non può essere supportato chi, per la risoluzione del problema, pensa davvero ci si debba e possa attenere a pesanti regole indefinitamente costringenti; oppure, per altro verso, ci si debba e possa sottoporre tutti indistintamente ad un qualche piano di vaccinazioni universale e costante, così oscurando la visione dei profondi rischi che ne deriverebbero sotto quell’accecante desiderio di un “ritorno alla normalità”.
Per costruire una sufficiente serenità durante climi di particolare tensione, uno dei problemi da comprendere è quello anche del ritrovarsi esposti ad un pericoloso relativismo interpretativo di conseguenti norme limitanti. Ciò culmina con la pretesa adozione di diversi schemi comportamentali ed operativi i quali, ritenuti veri gli uni sugli altri, si affermano infine come drasticamente separati e inconciliabili. Realizzata questa preliminare comprensione, si deve quindi agire innanzitutto accettando di rispettare quelle diverse legittime posizioni che popolano l’ampia zona intermedia che sta tra gli estremi. Eppure, in ogni caso, non bisogna perdere mai quel buon senso di ricercare attentamente ed individuare gli errori per un giusto processo di maturazione. E quando ci si ritrovi smarriti nel cammino, anche perché legittimamente impauriti, si tenga allora quell’obiettivo fondamentale, soprattutto attraverso il dialogo, di rivedere insieme le nostre diverse posizioni, col coraggio anche radicale di cambiarle per un nostro riconosciuto bene superiore e comune.

Si fa presto ad assumere comportamenti evidentemente dannosi come normali. Basterebbe soltanto pensare dall’attività del fumare, a come venga presto assimilata come normale. Ma nello specifico, per esempio, c’è chi ha adottato come naturale la necessità di lavarsi e disinfettarsi così tanto e ripetutamente da cominciare a spazzar via gli stessi strati protettivi della pelle. E c’è chi, non avendo mai compreso o nel tempo smarrito il senso stesso di una regola, sembra quasi perversamente gradisca in ogni occasione possibile indossare ed ostentare la fantomatica “mascherina” (forse anche come la buona occasione per sentirsi finalmente un qualche supereroe!). C’è davvero chi crede e pretende si debba e possa vivere rinchiusi in una qualche campana di vetro, respirando normalmente le proprie emissioni, così ignorando l’evidente risultato di compromettere il sistema immunitario, oltre che quello più sottilmente psichico. 

Sotto il peso di un qualsiasi male incedente si stia quindi molto attenti a non perdere il senno. Non si può pensare di eliminare un problema dimenticando l’effetto di gran lunga peggiore che potrebbe avere il presunto rimedio. Chi ha troppa paura, infatti, finisce che per la stessa muore.

In conclusione, nell’attuale stato di crisi, pur nella comprensione delle posizioni anche più distanti, decisamente può affermarsi come saggia e realistica l’accettazione di una moderata limitazione dei contatti sociali ed un atteggiamento comunque sempre rispettoso e non violento. 

Nel ragionevole generale rispetto di regole di comune convivenza, ciascuno scelga come continuare a vivere, ma senza mai rinunciare alla grande energia che deriva da un sano ed insostituibile minimo contatto sociale e con la natura. Non è un caso che l’essere umano è stato giustamente definito un “animale sociale”. Ma io dico che questi è innanzitutto uno “spirito animale naturale”, oltre che sociale e razionale. Così è anche definibile l’essere vivente armonico. Nessuno può negare certi diritti fondamentali, se non per tempi assolutamente brevi e seriamente giustificati. Ma in nessun caso può essere violato il respiro fondamentale dell’essere, prima ancora che possa essere considerato una “persona” con i suoi relativi diritti. E non si può oltremodo negare, quantomeno alle famiglie e alle persone più care, che ci si incontri, soprattutto quando, nell’evidente contraddittorietà di talune norme, a parità di condizioni, ad alcuni sia consentito e non ad altri. Gli stessi “stati di necessità” sono difficili da stabilire, chiamando in causa particolari situazioni psicologiche non sempre documentabili. E poi non si può assolutamente lasciare che si muoia ancora da soli, impedendo addirittura, come sappiamo è avvenuto, un ultimo saluto. Restano sottintese tutta una serie di altre regole immorali che, purtroppo, chiamando in causa il campo relativamente etico del “diritto”, hanno assurdamente trovato spazio e riconoscimento. Sempre comprendendo il valore di un limite, ci sono alcuni confini che non possono essere superati. Dobbiamo poter vivere le nostre comunità senza rinchiudere le menti ed i volti. Una qualche valida risposta potrebbe anche giungere da “vaccini”, ma senza che si cada nell’errore poi di volerli imporre globalmente e indiscriminatamente. È giusto proteggere i più deboli, ma nessun male potrà  essere veramente superato se, non scendendo naturalmente in campo, eviteremo di incontrarlo.

Accetto dunque quel minimo e sempre possibile rischio di contagio con il “male” e, sia pur con attenzione, continuo a vivere. Si continui assolutamente a vivere! Altrimenti, a voler essere perfettamente coerenti, per evitare ogni rischio, indipendentemente da eventuali rimedi protocollati, ci si dovrebbe del tutto isolare. Ora – al di là del valore di una condizione solitaria come anche l’occasione di una profonda maturazione interiore –, la richiesta di un isolamento eccessivamente prolungato, da un punto di vista sociale, non può che rivelarsi una soluzione drasticamente fallimentare. Trattandosi di un periodo tutt’altro che breve, infatti, si imporrebbe un isolamento eccessivo e psicologicamente non sostenibile, come se di fatto ci si trovasse in uno stato costante di “lock down”: ne sarebbe definitivamente compromessa la salute fisica e mentale dei più, oltreché – allo stato attuale dei nostri sistemi socio-economici –, la capacità stessa di poter provvedere al proprio sostentamento. 

Promuovere l’ottimismo e un atteggiamento di corretta attenzione. Evitare stati di patologica apprensione; riconoscere l’esistenza di un problema che va riconosciuto e affrontato. La vita, nel suo scorrere materiale, è continua esposizione. È bene non respingere la possibilità che qualcosa di indesiderato possa accadere in ogni momento. Questo succede quando si è immersi nel fiume dell’esistenza. Non c’è nulla che non ci possa esser tolto, e in qualsiasi momento. Possiamo però procedere con quella fiducia per la quale, anche nel peggiore dei casi, si riesce a trovare comunque una buona risposta, anche nel più profondo silenzio, e si schiude miracolosamente un profondo senso rasserenante di quanto malauguratamente accaduto. 

Il rischio non può essere eliminato, fa parte della vita, cosi anche quello di un contagio. Il rischio, invece evitabile, altrimenti è quello del trovarci costretti a dover recidere le nostre stesse possibilità relazionali. Dobbiamo poter continuare a lavorare gli uni per gli altri, ma anche riscoprendo il vero valore del lavoro quale movimento fondamentale per la realizzazione di un nostro bene comune, e non soltanto come uno strumento di compravendita. Sulla base di una ricostituzione individuale fondata sulla sacralità dell’essere, possiamo e dobbiamo costruttivamente incrociare i nostri flussi vitali.

La salute e la serenità sono generalmente tutelate in una condizione mentale non gravata da eccessivo stress. Tuttavia, nel caso in cui, per esempio, dovesse sopraggiungere un ragionevole e fondato dubbio di “positività virale”, allora si dovrà essere eccezionalmente disposti ad una giusta limitazione temporanea di taluni nostri diritti per loro natura comprimibili, per proteggere gli altri da un possibile dolore. Eppure, sciolti i principali dubbi, superati i momenti più temuti, effettuati anche gli opportuni isolamenti richiesti, immediatamente allora dovranno essere rimosse quelle stesse costrizioni e abbandonate le inutili precauzioni. È anche bene che si tenga una giusta e rilassata attenzione, ma nella parallela consapevolezza che ritornare alla cosiddetta normalità significa ritrovarsi nuovamente in una condizione di naturale esposizione. Il rischio è per natura inevitabile. Tuttavia, in attesa di tempi più sereni, potremo pur sempre comportarci al meglio per renderlo il più possibile sostenibile e ragionevole.

(aulicino)