IV > Premessa quarta: il valore di un limite
Siamo divenuti testimoni di un momento critico a suo modo particolarmente eccezionale. E ne siamo tutti drammaticamente consapevoli anche per via di una comunicazione massiccia e tecnologicamente globalizzata. Da sempre, in diversi momenti storici e contesti, la nostra umanità ha attraversato gravi congiunture che hanno determinato la necessità, a opera dei “dominanti di turno”, di limitare anche pesantemente certi corsi vitali consolidati come normali nel tentativo di riportare l’ordine. Quel che oggi ai nostri occhi si impone è il divampare di una crisi che sta condizionando l’intero globo. Tuttavia, proprio in questo clima di tensione, può anche cogliersi una preziosa opportunità di convivere e opportunamente rivalutare quelli che potremmo definire i nostri “mali”. Seguendo l’onda armonica, comprendiamo quanto sia importante non cadere nella tentazione di combatterli per annientarli. Non sono infatti “mali assoluti” e sconnessi da ciò che per noi è il “bene”.
Quante energie e tempo ancora sprecheremo per consolidare l’antico muro delle divisioni? Per quanto ancora dovremo favorire quella disarmonica richiesta di vedere rigidamente, da una parte, ciò che è negativo e ingiusto e, dall’altra, tutto ciò che, gravitandoci intorno, riteniamo invece positivo e giusto?
Un “male limitante”, seppur potenzialmente mortale, è anche l’occasione per avviare un processo di comprensione profonda dello stesso e delle sue cause. Ma, ancor di più, il clima che ne consegue offre la grande possibilità di guardarci dentro e trovare il coraggio di sentire quel male stesso come una parte complementare di noi. Esattamente: una parte diversa, naturalmente anche collidente, ma che inevitabilmente ci riguarda.
In condizioni particolarmente limitanti, possiamo inoltre imparare dal rallentamento di taluni ritmi smisurati che abbiamo imprudentemente assunto come normali, edificanti e necessari, quando invece non sono mai stati accettabilmente allineati alle esigenze naturali nostre e del nostro pianeta.
Ci ritroviamo costretti a guardare con maggiore attenzione all’esistenza. Possiamo raccogliere qualcosa di essenzialmente rilevante dal molteplice apparire del profondo.
Vale sempre il tempo dedicato a un silenzio intenso, come a una sola profonda parola, o alla costruzione e contemplazione di un solo segno. Similmente ha un valore l’esternazione di questo articolato frammento, senza dover necessariamente aspettare che venga quindi completata la forma del più ampio dipinto cui appartiene.
Non è questo un testo particolarmente adeguato a esser condiviso in contenitori “social”, per lo più congegnati e solitamente ottimizzati al favore di intrattenimenti leggeri, nella sovrabbondanza di informazioni usa e getta. Eppure, un terreno così radicalmente povero, riesce a sviluppare rilevanti “cariche virali”. Le assidue necessità comunicative dei naviganti, una volta fissate le residenze nelle reti intasate dell’apparenza, regalano quella narcotica illusione che i nostri bisogni più profondi possano essere realizzati proprio mentre ci si ostini tra i condotti virtuali delle nostre dissimulate superficialità.
Ed eccoci, in questo stordimento generale, tutti funzionalmente “belli e pronti”, chi in un modo, chi in un’altro, più o meno consapevolmente tutti al servizio del veloce e continuo trasporto dei più disparati “consigli per gli acquisti”; delle notizie più “sensazionali”; degli spettacoli più spettacolari; e tutti, più o meno indirettamente, protagonisti di un mondo che, infine, abbiamo pure orgogliosamente battezzato. Ma è proprio qui che il “male armonico” non può che anche presentare una sua significativa apparizione.
Nel respiro di un vuoto interiore drammaticamente incedente, sempre più dominanti trovano vani applausi e folti seguiti le arroganti ignoranze, gli atteggiamenti più presuntuosi e violenti, le scarse attenzioni culminanti in superflue affermazioni, come in quel desiderio crescente di una scintillante e ridondante apparenza. Ci sentiamo utilmente affaccendati nelle celle interconnesse di contenitori che, se ben intesi e vissuti, potrebbero anche essere di valido ausilio, anche costruttivamente rivoluzionario, ma che infine, principalmente sfruttando le nostre distratte partecipazioni, restano ancora piegati al prioritario servizio di una comunicazione commercialmente orientata e spesso, purtroppo, sapientemente manipolata.
Malgrado l’innegabile valore della leggerezza – la quale, se esperita con la giusta misura, risulta essere decongestionante e rivitalizzante –, resta saggio non esagerare neppure con essa. È bene evitare di restare oltremodo intrappolati in una rete che, mentre sembra possa raccoglierci per offrire la desiderata libertà, si traduce invece in una sottile, tenace e alienante trappola.
Investe tutto una crisi che si rispetti, anche la prevalente tendenza superficiale del costituito sistema “tecno-sociale”. Abbiamo allora l’incredibile occasione di mettere da parte talune facili sintesi preconfezionate e ritrovare la forza di lavorare anche la terra più dura per raccogliere il dimenticato prodigio dei suoi doni.
Similmente riceviamo quell’importante occasione di fermarci e viaggiare, con rigenerante profondità, nel dinamismo di un dialogo illuminante; come dentro il titolo di una canzone, di un film, di un testo, di qualsiasi cosa che non sia allineata alle solite esigenze sovra-strutturate. Raccogliamo quell’occasione dunque di approfondire il significante rilievo di una storia che sia vera, potendone venir fuori con il valore ritrovato di un processo fatto di amore, dedizione e pazienza.
Mai avremmo voluto che una simile occasione fosse arrivata in conseguenza di una situazione così destabilizzante come quella che stiamo attraversando. E ora anche “noi”, senza entrare nel merito di quanto sia giusto o sbagliato, sappiamo cosa significhi trovarsi obbligati a ridurre, se non anche a sospendere, quelle “normalità” convenientemente sposate.
Nel vortice di una situazione poco controllabile – nonché difficile da gestire ed esposta alle più disparate contraddizioni –, mentre saremo giustamente chiamati a una doverosa cooperazione sociale nel rispetto minimo di necessarie regole comuni, dovremo stare bene attenti affinché non sia con ciò anche oltremodo violato il nostro cammino di esseri che, per intima costituzione, sono socialmente liberi.
Abbiamo avuto e avremo ancora prezioso tempo da impiegare per meditare, senza farci nuovamente distrarre dagli eccessi di una vita materiale che, freneticamente richiedendo, in maniera eccessiva avanza. Anche per questo, insieme alla recuperata capacità di un paziente lavoro indispensabile per costruire le nostre profondità, possiamo anche sperare di comprendere meglio le cause dei mali che più temiamo.
È il momento di un maggiore impegno per dedicarci seriamente, come singoli e come comunità, a ricostruzioni di ordine essenziale che ci aiutino a rigenerare nuove e più forti radici nel tessuto portante delle nostre esistenze. Dobbiamo ricostruire dalle fondamenta e ritornare con maturità all’abbraccio di quella stessa “dimensione superficiale” che, quando è sconnessa dalle più luminose profondità, anziché arricchirci, gravemente alienando ci intossica.
Forti di una maggiore sensibilità e di una recuperata perseveranza, siamo potenzialmente in grado di raccogliere realtà che, appena ieri, fuori dal potere risvegliante di un comune malessere, non avremmo neppure considerato degne della nostra attenzione.
Ma presto, all’inevitabile riemergere dei mali, al di là dell’anche avvincente fascino di certe “visioni complottistiche”, ritorna la pericolosa irrazionalità di molteplici regole ad opera di governanti poco inclini alla faticosa ricerca delle vere cause risolutive, quanto meno dei problemi più gravi e insidiosi. Non è difficile perdere quella possibilità di dedicarci per tempo alla costruzione prioritaria di risposte efficaci. E quando il tempo è irresponsabilmente andato, a poco serve allora dar colpe; chiamare in causa l’inevitabile; o incriminare talune supposte “mal disposizioni” del popolo.
Regolarmente invece accade che, al primo momento di respiro possibile, sono proprio certe pericolose “normalità” a far puntuale ritorno. In preda ai piaceri sottratti che si riversano come nuovamente possibili, è facile richiudere gli occhi appena schiusi. E più che facile è ricadere nei campi di lotta, collocandosi al di qua o al di là, come si trattasse soltanto di un gioco dove, tra gli schieramenti, chi più sbraita vince. Ad altro non si assiste se non al tentativo disperato di ricolmare un vuoto di principi e valori comuni che rivela una mancanza spirituale. Questo il nucleo su cui crucialmente riflettere.
A ogni livello, governati e governanti, ci si deve lamentare meno e impegnarsi di più, e al meglio. E come non pensare a chi sia costretto a fronteggiare situazioni ben più al limite e gravi delle nostre? C’è chi non ha neanche un tetto dove ripararsi, né cibo per sfamarsi. C’è chi non ha neppure la forza di alzare la testa per gridare il proprio “no!” a sistemi di potere sordi e distanti, se non proprio assenti. E sorridenti potenti di turno tra i sudori sbracciati alla conquista e al mantenimento del potere in sé più che al suo effettivo impiego per risanare finalmente il nostro mondo.
Così è stato – anche quando si brindava ai privilegi pseudo-globalizzati di un benessere distorto –, e così è ancora. Il mondo soffre da tempo. Da troppo tempo ormai. Pensiamo di essere sempre noi il metro assoluto di tutto? Il nostro “ego” l’unico a valere e il votato a dettare? E restiamo ancora qui, comodamente qui a cullarci. Qui dove ancora si muore per vecchiaia estrema, in opulente smisurate obesità, tra confezioni colorate, surrogati vari e luminosi schermi. Infelicità tristemente mascherate di benessere, mentre non vi è alcun bene che in fondo animi. Se va bene a noi, è comodo assumere che ovunque vada similmente bene. Perdendo la possibilità di aprire i nostri cuori solitari al mondo, siamo riusciti nell’impresa di ridurre il mondo a nuclei isolati. E quando quella nostra superficie ben lucidata viene anche un po’ scalfita? L’assoluto centro irrompe e reclama ogni attenzione. Noi abbiamo il diritto! Il diritto.
Potremo validamente dichiarare tutto il mondo paese quando sapremo sentire e realizzare il mondo nelle nostre singolarità, e in ogni singolo vivente, a qualsiasi regno appartenga.
È il momento giusto per fare ordine e meditare, per studiare e riflettere, per ascoltare e leggere più nel cuore delle cose. In realtà è sempre quel momento. Ma serve anche che si agisca, ciascuno facendo sentire la propria voce, e condividendo ogni buona voce riconosciuta. Si innalzi un canto rinnovato, la manifestazione desiderata della nostra gioia di vibrare infinite e diverse melodie nello stesso viaggio. In semplice armonia, tutti insieme e con il mondo.
Ma è soprattutto questo il momento per non dimenticare l’importanza prioritaria dell’ascolto. Abbiamo infelicemente imparato l’impropria arte del sommergere la capacità d’intendere l’intima voce di un pianeta agonizzante. miliardi di viventi restano schiacciati sotto gli irrispettosi e pesanti altari di un’industria degenerata ed emarginante, irresponsabilmente incoraggiata e sostenuta dalle nostre incontinenti richieste. Siamo stati sedotti da una esponenziale democratizzazione di potenti mezzi di produzione espressiva che però, al tempo stesso, ha portato a una semplificazione appiattente degli stessi processi creativi.
E ci siamo assuefatti al conforto di sempre più facili esternazioni attraverso piattaforme sociali virtuali. Sempre più ammalati di protagonismi, diversamente dissimulati, da esibire a qualsiasi costo quali affermazioni indispensabili di un nostro vagheggiato esserci. Sta di fatto che, per un motivo o per l’altro, ci siamo ritrovati sempre meno interessati all’ascolto di una realtà che abbiamo perso la capacità di respirare come profondamente nostra e vera. E di puntuale rilancio hanno preso a svanire desolatamente i valori e la potenza delle nostre sempre più inflazionate e vane esternazioni, così come le platee di quelli veramente disposti ad ascoltarci. Con grande tristezza e stordimento, tra sorrisi svuotati e fugaci compiacimenti, nelle abituali finzioni consumiamo certe nostre ristrette verità, tecnologicamente sempre più rapiti e affascinati, mentre sfregiamo la straordinaria irripetibile reale bellezza delle nostre stesse vite.
Assistiamo all’infelice serie di scintillanti passerelle, sature di espressioni sterili, alla ricerca frenetica di esaltanti riflettori. Tra gli applausi incitanti, ecco l’impietoso scorrere di sfilate dirette al macero. Guarda! Mendicanti burattini, arroganti o anche ingenui, immaturamente sorridono truccati tra i lustri – e tra chissà quali speranze e visioni – mentre sono spediti tutti al “paese dei balocchi”.
Nel vortice mimetizzato di questi canali pubblici, industriosamente imposti e padroneggiati, si ritrovano spesso costrette a transitare le nostre espressioni più ispirate e autentiche, mentre nel cammino vanno inesorabilmente deturpandosi le bellezze originarie delle loro anime. Se non così, altrimenti, si deve accettare il costo di uno sconfinato isolamento tendenzialmente annichilente. E nelle morse di quelle vivaci fiere magmatiche, alterandosi dilaniate le innocenti purezze, quelle nostre voci si fanno più sommerse, lontane, difficili da udire… fino a perdersi, gettate ancora urlanti affamate nel sottobosco delle speranze, in quel limbo, laggiù, alla penosa sfibrante ricerca d’un’altra dose d’artificiale altezza.
Se solo riuscissimo a guardare oltre i palchi e i piedistalli più sfoggianti e sontuosi; se solo, finalmente recepite da un pubblico risvegliato, fossero con maggiore attenzione ascoltate, seguite e condivise quelle manifestazioni delle nostre più vibranti profondità, allora, con tanta più efficacia, nella libertà d’espressione di anime risanate, potremmo finalmente portare buona luce e speranza alle nostre vite. Ciascuno di noi può accendersi, risuonando coraggiosamente, radiante come una stella che illumina un intero universo. E il primo universo a essere rischiarito è proprio quello del nostro corpo vivente, universo in vita tra gli universi.
Ascoltiamo! Lo spirito armonico sta ormai risvegliando le coscienze. Agisce innanzitutto in ciascuno di noi, indipendentemente dalle distanze e dalle diversità. Stiamo già componendo sull’onda di un’anima desiderosa di pace universale armonica. Una gloriosa Rinascita ci attende. È già in atto, ma con maggiore forza sarà presto pronta ad affiorare all’evidenza. Attraverso il progressivo espandersi delle nostre manifestazioni, dapprincipio soprattutto per le diverse vie dell’arte, in ogni campo assisteremo al semplice palpitante spettacolo di opere direttamente ispirate dal nostro divino nucleo essenziale.
Con medesimo infinito valore, parlo adesso a uno soltanto di noi, come a ciascuno, e a nessuno. Ma all’umile schiudente sentire, non è più soltanto la voce di uno di noi che giunge. Sono le nostre voci in una. E tutte le voci sono insieme per la nostra umanità. In qualsiasi modo nelle nostre vite pervenga l’onda vibrante dell’essenza armonica, cominciamo ad ascoltare. Sentiamo l’infinito giusto valore di un limite. Ci riscopriamo già salvi. Siamo liberi.
(aulicino)