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arcobaleno cadente

I > Premessa: qualcosa di “essenziale”

Cari tutti, fratelli e sorelle; chi di voi padre o madre, chi figlio o figlia; chi vicino, chi lontano; chi è già stato e chi dovrà ancora essere; chi non ho mai incontrato, chi forse un giorno incontrerò, e chi, quando sarò altrove, mi incontrerà, e chi mi riconoscerà anche quando non ci sarò. 

Ad ogni modo, insieme, nello spettacolo di questo strabiliante viaggio, siamo fiamme miracolose, comunque delicate e preziose, dell’unica fonte di tutti gli universi. E anche solo per questo sento di dirvi che mi siete davvero tutti cari e amati.

Per anni ed anni, sotto l’incontrastabile spinta di un senso implacabilmente critico del “dovere”, divenendo sempre più socialmente rarefatto, mi sono ritrovato liberamente costretto in diversi lunghi eremitaggi, immerso nell’approfondire il valore di una costruzione pazientemente meditata ed il più possibile responsabile. 

Nel nome dell’Armonia, pur abbracciando pienamente il miracolo del corpo vivente, vivo ormai il gioioso impegno di un cammino saldamente ispirato all’essenza e all’umile potenza del raccogliere per lasciare.

Dovendo ogni anno attraversare un nuovo tempo del deserto armonico, tra lunghi digiuni e silenzi, sono anche stato un felice rifugiato, risolutamente sospinto a profondi confini in attesa di completare una serie di “cicli armonici”, già da tempo avviati ed attualmente in corso, e di cui meglio, al momento che sarà, scrivendo non potrò che dire. 

Nonostante il peso di diverse privazioni, una parte di me, tendenzialmente predominante, è stata poco incline a perdere quel piacere costruttivo del permanere serenamente in disparte.

Immancabilmente giungendo, per il mio sentire, non sono stati lievi i sacrifici lungo il sentiero; per nulla poco incisive le pur sempre fertili ferite; e non poche le volte in cui sembrava di trovare la fine in vere e proprie odissee, fin quasi oltre ultimi orizzonti, per poi ogni volta imprevedibilmente riapprodare.
Ho potuto navigare tra esperienze fantastiche, rischiosamente anche spingendomi al di là di una ponderata ricerca. Le fiammate dei dubbi più vorticosi ghermendo mi hanno spesso trascinato, come a voler precipitare il mio piccolo mondo tremante inappellabilmente giù, in un cosmico oblio. 

E non poche sono state le invitanti comodità, con quelle facili soddisfazioni di bisogni marginali che poi, come potenti narcotici mascherati, senza molto tardare, si rivelano massicciamente stordenti. In una società sempre meno attenta alle più intime e naturali realizzazioni – insieme a lotterie varie di sogni materiali e a spolmonanti giochi di massa –, questi sono peraltro tra i più efficaci alleati e strumenti dei nostri sistemi per favorire opportuni trattamenti decompressivi di molteplici ed irrisolte tensioni individuali.

Restando sempre attivo un mio assetto interiore votato alla naturale meditazione, non sono tuttavia mancati lunghi periodi trascorsi a maturare “per la strada”, nel desiderio continuo di respirare manifestazioni di anime e terra, e fino all’ultimo istante possibile di ogni giorno! E così anche non sono mancati quei momenti trascorsi lì a frastornarsi tra le onde più schiumose, tra leggerezze e lussi spesso irresponsabili e corrivi piaceri dei sensi.

Ho vissuto intensamente, sia nel bene che nel male, ma sempre immerso in questi due volti opposti della stessa identica luminosa fonte armonica che, anche per le vie meno rette, mi è sempre stata accanto. Come in un incubo, nel plumbeo scorrere di un sonno sorretto da angeli, così pure ho potuto naufragare, ma senza mai in verità smettere di navigare, ad occhi chiusi seguendo in fede la dischiusa rotta delle più sommerse ammantate stelle.

E nella semplicità ho ascoltato, maturando fino a cadere, per poi ancora una volta ricominciare. Ed ho ripreso a riascoltare fin quando, al perentorio annuncio del buio, dinnanzi all’infuocato incanto di ancora un tramonto, un’altra amata realtà, pazientemente ricostruita, si dissolveva: una nuova ricaduta allora, e nuove tenebre dai sentori infiniti. Ma infine, alla verginità dei miei occhi antichi, di nuovo e sempre hanno inceduto in dono le aurore, miracolosamente lì a ridestare, proprio dinnanzi, uno splendente universo ancora da rivivere. 

Nella principale forza di un disceso accolto credo, ho potuto attraversare il prorompere di quei bivi più drammatici e disorientanti. Tante le debite rinunce. Tante le spiacevoli e necessarie scelte.

Ma generosa e vera è stata pure la grazia di gioie serene e di amori sorprendentemente rari e sconfinati, con quelle adorabili premure e le rigeneranti attenzioni. 

In un mondo esalante di brucianti tormentose tempeste – ampiamente dilaganti tra rare oasi sempre più esclusive –, sono tutte cose che ho imparato a ricevere e vivere in modo certamente naturale, ma nella consapevolezza anche di un impegnativo e gravoso regalo.

Anche per questo, mi è stato concesso di comprendere cosa significhi essere, sin dalla nascita, tra i più fortunati ed agiati (volendo identificare certi stati di “non pochezza materiale” con la fortuna e l’agio!). E pronto in agguato, assalendo ai giusti tratti, ho potuto sentire come anche il tracimare di un senso di colpa originario per il fatto stesso di esser venuto al mondo in quel versante dove gli astri sembra siano più sorridenti.
Quando ricevi un dono, sia esso materiale che spirituale – quand’anche si presenti sotto forma di sventure o mancanze –, un buon motivo profondo c’è sempre. Dopo aver superato (ma senza troppo indugiare!), eventuali comprensibili conflitti e smarrimenti interiori, devi piuttosto metterti all’opera per meritare quel che di fatto hai comunque ricevuto, sentendone la responsabilità. Impariamo presto a riconoscere il valore vero di quel tesoro ad ogni modo detenuto, senza immobilizzarlo né dissiparlo, ma impiegandolo per il bene del nostro mondo.

Malgrado la comprensione di una radicale imperfezione (armonicamente benedetta!), posso dire di aver concesso veramente tanto a quella parte di me che, quasi inimmaginabilmente timida ed insicura, si è normalmente mossa sull’onda di un persistente rinvio. Ancora la osservo, per meglio comprenderla. È come se fosse stata seriamente disposta ad accettare il rischio di tramontare senza mai più svegliarsi, senza poter lasciare almeno una profonda desiderata carezza al volto reale e così tanto amato di questa incantevole esistenza. E, per di più, nella sincera quasi ingenua convinzione di poter prima davvero raggiungere la perfezione stessa di un sogno! 

Per un prevalente scorrere variamente congiunto di questi motivi, a parte alcune rare eccezioni, non ho avuto dunque modo di dedicarmi ad un’ordinaria esternazione delle espressioni che nel tempo, profusamente in me affollandosi, sono emerse. Ed ho così finora rinviato la comunicazione di alcune cose di natura essenziale che mi stanno più che a cuore. Ma sempre ogni cosa giunge al suo giusto tempo.

(aulicino)