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arcobaleno cadente

I > Premessa: qualcosa di “essenziale”

Cari tutti, fratelli e sorelle. Padri e madri, figli e figlie. Chi vicino, chi lontano. Chi è già stato e chi dovrà ancora essere. Chi non ho mai incontrato, chi forse un giorno incontrerò; e chi, quando sarò altrove, mi incontrerà; e chi mi riconoscerà anche quando non ci sarò.

  1. A ogni modo, nello spettacolo di questo strabiliante viaggio insieme, siamo fiamme miracolose, comunque delicate e preziose, dell’unica fonte di tutti gli universi. E anche solo per questo vi sento tutti cari e amati.

Per anni, sotto l’incontrastabile spinta di un senso implacabilmente critico del dovere, divenendo sempre più socialmente rarefatto, mi sono ritrovato liberamente costretto in diversi lunghi eremitaggi, immerso nell’approfondire il valore di una costruzione pazientemente meditata e il più possibile responsabile.

Nel nome dell’Armonia, abbracciando il miracolo del corpo vivente, vivo il gioioso impegno di un cammino saldamente ispirato all’essenza e all’umile potenza del paziente raccogliere per lasciare.

Da molto tempo ormai, ogni anno, attraverso il deserto armonico per il tempo di sette settimane. Tra quei lunghi digiuni e silenzi, sono anche stato un felice rifugiato. In attesa di completare una serie di “cicli armonici” (già da tempo avviati e attualmente in corso, e di cui meglio, al momento che sarà, scrivendo non potrò che dire), mi sono risolutamente sospinto a profondi confini.

Nonostante il peso avvertito di diverse privazioni, una parte di me, tendenzialmente predominante, è stata poco incline a perdere quel piacere costruttivo del permanere serenamente in disparte.

Immancabilmente giungendo, per il mio sentire, non sono stati lievi i sacrifici lungo il sentiero; per nulla poco incisive le pur sempre fertili ferite. E non sono state poche le volte in cui sembrava precipitare la fine in vere e proprie odissee, fin quasi oltre ultimi orizzonti, per poi ogni volta imprevedibilmente riapprodare.
Ho potuto navigare tra esperienze fantastiche, rischiosamente anche spingendomi al di là di una ponderata ricerca. Le fiammate dei dubbi più vorticosi ghermendo mi hanno spesso trascinato, come a voler schiacciare il mio piccolo mondo tremante inappellabilmente giù, in un cosmico oblio.

E non poche sono state le invitanti comodità, con quelle facili soddisfazioni di bisogni marginali che poi, come potenti narcotici mascherati, senza molto tardare, si rivelano massicciamente stordenti. In una società sempre meno attenta alle più intime e naturali realizzazioni – insieme a lotterie varie di sogni materiali e a spolmonanti giochi di massa –, i nostri “sistemi” non mancano di alleati strumenti efficaci per favorire opportuni trattamenti decomprimenti di molteplici e irrisolte tensioni individuali.

Malgrado un mio assetto interiore tendente a una naturale meditazione, non sono mancati lunghi periodi di maturazione trascorsi “per la strada”. Desiderio continuo di respirare manifestazioni di anime e terra, e fino all’ultimo istante possibile di ogni giorno! E non sono mancati quei momenti trascorsi a crogiolarsi tra le onde più schiumose e frastornanti, lì tra leggerezze e lussi spesso irresponsabili e corrivi piaceri dei sensi.

Ho vissuto intensamente, sia nel bene che nel male, ma sempre immerso in questi due volti opposti della stessa identica luminosa fonte armonica che, anche per le vie meno rette, mi è sempre stata accanto. Come in un incubo, nel plumbeo scorrere di un sonno sorretto da angeli, così pure ho potuto naufragare, ma senza mai smettere di navigare. A occhi chiusi ho seguito la dischiusa rotta in fede delle più sommerse e ammantate stelle.

Nella semplicità ho ascoltato. Ho maturando fino a cadere. E poi ancora una volta ricominciare. E ho ripreso a riascoltare fin quando, al perentorio annuncio del buio, dinnanzi all’infuocato incanto di ancora un tramonto, un’altra amata realtà, pazientemente ricostruita, si dissolveva: una nuova ricaduta allora, e nuove tenebre dai sentori infiniti. Ma infine, alla verginità dei miei occhi antichi, di nuovo e sempre hanno inceduto in dono le aurore. Miracolosamente sono lì a ridestare, proprio dinnanzi, uno splendente universo ancora da rivivere.

Nella principale forza di un disceso e accolto credo, ho risolto nei giusti passi e nelle fermate il  prorompere di quei bivi più drammatici e disorientanti. Tante le debite rinunce. Tante le spiacevoli e necessarie scelte.

Ma generosa e vera è anche stata la grazia di gioie serene e di amori sorprendentemente rari e sconfinati, con quelle adorabili premure e le rigeneranti attenzioni.

In un mondo esalante di brucianti e tormentose tempeste – ampiamente dilaganti tra rare oasi sempre più esclusive –, sono tutte cose che ho imparato a ricevere come doni, e a vivere in modo naturale. Ma non senza quella consapevolezza di ricevere anche un impegnativo e gravoso regalo.

Anche per questo mi è stato concesso di comprendere cosa significhi ritrovarsi, sin dalla nascita, tra i più fortunati e agiati (volendo qui identificare certi stati di “non pochezza materiale” con la fortuna e l’agio!). E pronto in agguato, assalendo ai giusti tratti, ho potuto sentire come anche il tracimare di un senso di colpa originario per il fatto stesso di esser venuto al mondo in quel versante dove gli astri sembra siano più sorridenti.
Quando ricevi un dono, sia esso materiale che spirituale – quand’anche si presenti sotto forma di sventure o mancanze –, puoi star certo che un buon motivo c’è sempre. Dopo aver superato (ma senza troppo indugiare) eventuali comprensibili conflitti e smarrimenti interiori, devi piuttosto metterti all’opera per meritare quel che di fatto hai ricevuto, sentendone la responsabilità. È bene che presto si impari a riconoscere il valore vero di quel tesoro senza immobilizzarlo, né dissiparlo, ma impiegandolo per il bene del nostro mondo.

Malgrado la comprensione di una radicale imperfezione (armonicamente benedetta!), posso dire di aver concesso veramente tanto a quella parte di me che, quasi inimmaginabilmente timida e insicura, si è normalmente mossa sull’onda di un persistente rinvio. E ancora la osservo, per meglio comprenderla. È come se fosse stata seriamente disposta ad accettare il rischio di tramontare senza mai più svegliarsi, senza poter lasciare almeno una profonda desiderata carezza al volto reale e così tanto amato di questa incantevole esistenza. E nella sincera e quasi ingenua convinzione di poter prima davvero raggiungere la perfezione stessa di un sogno.

Per un prevalente scorrere variamente congiunto di questi motivi, fatte salve alcune rare eccezioni, non ho avuto modo di dedicarmi a un’ordinaria esternazione delle espressioni che nel tempo, profusamente in me affollandosi, sono emerse. E ho rinviato la comunicazione di alcune cose di natura essenziale che mi stanno più che a cuore. Ma sempre ogni cosa giunge al giusto tempo.

(aulicino)