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cielo

XV > Premessa settima: “Virus”. e) Risposte

Sorvolando adesso sulle possibili colpe, guardando invece ad alcune azioni che bisognerebbe intraprendere per superare efficacemente la tensione di una situazione critica, quello che vogliamo vedere sono governi che abbiano quanto meno la buona creanza di essere attivamente presenti al reale servizio, e non quindi, sempre e soltanto, asfissiantemente richiedenti. Altrimenti, con che diritto uno Stato può validamente credere di imporsi nelle vite dei suoi rappresentati? Con quale autorevolezza, quando pretenda di entrare pesantemente in ogni respiro senza poi dare sufficiente aria?

Resta necessario l’urgente avvio di processi che risolvano le fondamentali violazioni. Ma anche, con la felicità del popolo a cuore e mostrando una sincera e concreta vicinanza, sarebbero da evitare talune frequenti compressioni psicologiche. Tensioni sociali non opportunamente mitigate sono infatti destinate a diventare sempre più esplosive – e non solo pubblicamente ma, ancor prima, in noi stessi ed in seno alle nostre famiglie. 

Ci siamo ritrovati variamente venduti, prestati o costretti a un sistema dominato dalla priorità di continue implementazioni produttive. Siamo quotidianamente dipendenti da interfacce virtuali tendenzialmente alienanti. Ogni qualvolta, e per periodi indefinitamente lunghi, ci si ritrovi costretti a restare nelle nostre case, allora non possono che drammaticamente emergere tanti nostri disagi psichici. In condizioni normali infatti non si coltiva lo sviluppo di un’adeguata capacità di sostenere frequenze intense ravvicinate e costanti con altri, ma anche con noi stessi. 

D’altro canto, ogni qualvolta si assista invece a una ripresa di quelle sospese “possibilità sociali”, allora anche emerge il sottile e pesante disagio del vedersi in movimento tra viventi per lo più riscaldati dall’entusiasmo di momentanei interessi materiali e in fondo, troppo spesso, calcolatori cinici, distanziati e freddi. E finiamo anche noi, presto, per riscoprirci così, a trascinarci in quel superficiale entusiasmo delle nostre possibili relazioni, brindando all’ennesimo “ottenimento”. Al seguito di queste materiali conquiste, potremo anche ritrovarci con un patrimonio economico più consistente di quello di ieri, ma con un pesante vuoto dentro. Salvo altrimenti il finire (ma infelicemente) a condurci nella convinzione di essere tra i pochi giusti e veri rimasti, se non gli unici, in un mondo di opportunisti e falsi. Eppure la meravigliosa possibilità di incontrarsi e vivere la nostra naturale dimensione sociale dovrebbe essere anche l’opportunità per costruire insieme una società migliore, realizzando quello spirito comunitario armonico che tutti fervidamente desideriamo.

Similmente, restare invece insieme nel prezioso ritrovo di una casa (ancor di più pensando a chi non abbia neppure un rifugio dove potersi ritirare!) dovrebbe costituire un’impagabile fonte di gioia, di costruzione e condivisione nella semplicità dell’amore (sempre che, chiaramente, si abbia quel minimo necessario per vivere!). Così per molti, troppi, non è stato, e ancora non lo sarà. 

Non voglio dire adesso di un meraviglioso tetto di stelle, di un fuocherello, di giusto qualcosa da metter su alla notte, per ripararsi, e di appena un lembo di terra da poter coltivare e da cui genuinamente sfamarsi e dissetarsi; di un fresca brezza irrorata di natura da respirare, come del canto di fronde in danza al vento e di innocenti meravigliosi animali intorno, felici in cielo e in terra. E non voglio necessariamente dire del poter respirare e condividere un semplice giorno di sole, e uno di pioggia almeno, con qualcuno da amare, ma servirebbe davvero poco per avere tutto quello di cui abbiamo bisogno, anche nei momenti in cui ci sentiamo veramente soli.

Il punto critico su cui riflettere è che ci siamo eccessivamente allontanati dalla natura e dalla nostra stessa umanità, così pericolosamente disabituandoci. Se commettiamo nuovamente l’errore di porre bisogni e valori superficiali ai gradini fondanti delle relative scale, è chiaro come non risulterà affatto semplice vivere, intendo davvero vivere. Al contrario, sarà estremamente difficile ottenere tutto ciò che riterremo ancora una volta erroneamente necessario e giusto perseguire, fermi ancora nella convinzione di poterlo definire “essenziale” per la nostra felicità. Possiamo chiaramente vedere i risultati cui tragicamente ha condotto l’attuazione di un simile schema valutativo e comportamentale. 

E quelli che, onestamente impegnandosi, saranno anche riusciti a ottenere più del necessario, accumulando ricchezze materiali in abbondanza, avranno finito comunque col pagare un prezzo troppo alto. Il superfluo acquisito, per esser poi mantenuto e implementato, richiede di sacrificare oltremisura la preziosità del proprio tempo e, spesso, gli stessi affetti. Ma ci sarà pur sempre un modo per dare un senso a questi errori con la possibilità di donare quell’inutile eccesso di risorse impiegandole saggiamente per la costruzione armonica di un mondo migliore. 

In questo clima di variabile compressione, indipendentemente dai luoghi dove sembra che tutto possa “riprendere come prima”, resta il fatto che si dovrebbe imparare, e una volta per tutte, a non sottovalutare i normali momenti di quiete, come fossero oasi inesauribili ed eternamente dovute. Sono questi i momenti in cui principalmente ci si deve dedicare alla raccolta e alla costruzione. C’è sempre un periodo di relativa quiete in mezzo a due tempeste, come anche, naturalmente, c’è sempre una tempesta tra due periodi di quiete. E c’è sempre un breve intenso momento di silenzio prima e dopo una tempesta. Adeguatamente preparati e per tempo, senza quelle crisi ed iperattività di chi all’ultimo voglia tutto recuperare, sarebbero proprio quelli i momenti in cui, in quel naturale silenzio, come al crepuscolo e all’aurora, serenamente allora ci si può raccogliere, pregare e ringraziare.

Così anche si dovrebbe imparare a tenere a freno quelle diverse eventuali e comprensibili esasperazioni che altrimenti, presto trasformandosi in esplosive ribellioni e degeneranti follie, risultano profondamente rovinose. Anche se indirettamente, si finisce col favorire l’emergere di azioni irresponsabili, contrarie al buonsenso, ma anche in contrapposizione ad alcune ordinanze che, nell’eccezionalità, potrebbero invece essere necessarie. Non è semplice governare, e bisogna tenere in considerazione quei governi che – malgrado le assenze, i ritardi, le mancate azioni preventive e le conseguenti gravi inevitabili inefficienze – si trovino poi sinceramente impegnati nel disperato difficile tentativo di risolvere l’emergenza di una crisi. In questo senso non dobbiamo cedere alla tentazione di escludere possa esserci una vera volontà dei governi per la risoluzione di situazioni giunte al limite. Ma quando, sopratutto avendo dovuto far tesoro del peso di una materiale esperienza, si accoglierà come normale il muoversi in anticipo, prima dell’arrivo di nuove tempeste, per la costruzione di una società comunitariamente salda e forte? Quando si comprenderà come sia profondamente sbagliato adottare soluzioni al servizio dell’affermazione di modelli economici e politici che non  tengano debitamente conto del prioritario rispetto della natura e delle libertà fondamentali?

E intanto, come normalmente accade, ancora assistiamo al balletto di governi e opposizioni – purtroppo raramente uniti in quelle situazioni più delicate che richiederebbero invece una naturale loro cooperazione! Sono lì a dimenarsi tra ennesimi errori e qualche giusta intuizione. E possiamo anche osservarli, quasi innocentemente vaganti, nel tentativo di risolvere alcuni problemi non più mimetizzabili, soprattuto quando, anche per la loro estensione, questi assumano un’importanza non più  trascurabile. E dagli schermi, tra i riflettori, mentre osserviamo quei sempre raggianti potenti all’opera, non può che anche trapelare quel loro diffuso desiderio, più o meno velatamente trainante, di mettere a segno qualche buon colpo per proclamare una presunta vittoria e raccoglierne i frutti, chiaramente in termini di nuovo potere ed “immagine”. E quale migliore occasione dell’imposizione della prima soluzione da laboratorio che prometta di riportare velocemente tutto all’ordine? L’originario movente politico, che dovrebbe essere naturalmente rivolto alla costruzione del bene sociale, sembra sia decisamente arretrato per lasciare spazio alla dominante realizzazione dei più disparati desideri di successo. Si desidera apparire ostentando, anche al solo riflesso di se stessi, poco altro se non voglie di fama, potenza e ricchezza. 

Al tempo stesso, sotto le “coperture emergenziali”, si spera anche non affiorino quelle alte colpe istituzionali agli occhi di un popolo ancora impaurito. Salve fisiologiche sacche rivoluzionarie, la massa resta tendenzialmente pronta a credere allo stato dichiarato e alle soluzioni ufficialmente prese. E dopo l’errore di blocchi sociali esasperati e contestualmente non commisurati, quanto si può poi credere in sistemi governativi che – strategicamente cedendo a talune pressioni superficiali, senza coraggiosa fermezza, né vere analisi e soluzioni –, tra assurde contraddizioni e illogicità, e senza l’adozione più saggia di misure quantomeno intermedie, si decidano infine, tutt’a un tratto, per aperture di eccessivo respiro e incontrollate? Si pensi semplicemente a quanto avvenuto dopo lo scemare delle “prime ondate”. Forse anche perché sottilmente si tenti di attribuire al comportamento delle masse, troppo aperto e irresponsabile, la colpa di cadute e recidive? Forse per tentare di coprire, ancora una volta, quei problemi più profondi che non siamo stati ancora in grado di affrontare e risolvere? E tra questi, nel caso specifico, evidentemente quel problema di una istituzione sanitaria gravemente precaria e impreparata.

Ecco allora nuovi estremi “blocchi sociali” giungere salvifici, e con la promessa di porre a tutto rimedio, limitando quell’azione criminale degli “untori” e  quell’irresponsabile condotta di chi (attenendosi a pubbliche direttive che, nel giro di qualche giorno, sono divenute obsolete) abbia ripreso semplicemente a vivere. E allora diviene anche conseguentemente logico cadere nella facile tentazione d’imporre il “comportamento giusto” dietro sanzioni obiettivamente sproporzionate, ma che si vorrebbe indirettamente supportare e giustificare attraverso la continua trasmissione mediatica di un quadro non a caso spinto ai limiti del drammatico. Maggiore è il pericolo rappresentato, infatti, e maggiore è la legittimità di più alte sanzioni e pene per i trasgressori. Ma anche, d’altro punto di vista, maggiore è l’attenzione (come quando sembra impossibile non fermarsi per assistere allo spettacolo di un disastro!), e maggiore allora è anche l’opportunità commerciale di piazzare nuovi sorridenti “spot”, così anche efficacemente dinamizzando quella vorticosa ridondanza, perversamente attraente, della solita cupa sequenza. 

Occorre restare lucidi e compatti, risollevarsi sia nello spirito che nel corpo. Occorre impegnarsi per edificare un sistema sociale e produttivo armonicamente sostenibile.  Immediatamente, e in ogni momento, deve essere aiutato chi, in un qualsiasi modo colpito, non abbia la forza per ripartire da solo. Vogliamo uno Stato che sia realmente vicino, che aiuti alla comprensione, che sappia anche agire con fermezza, quando dovuto, ma senza allontanare i cittadini, né dalle istituzioni, né tra loro. Altrimenti, come puntualmente purtroppo avviene, non potranno che generarsi pesanti contrapposizioni sociali e drammatiche tensioni. Malgrado l’esercizio costruttivo di una fondamentale critica, vogliamo tenere la nostra fiducia nei sistemi democraticamente chiamati a rappresentarci. Ma dobbiamo imparare a crescere dagli errori, rinnovarci, e preparare una società anche politicamente migliore. Abbiamo bisogno di solidarietà e vicinanza, di giusta protezione, ma nel rispetto di una vera libertà e di una nostra essenziale indipendenza. Tutti insieme, anche nella forza vera di un genere comune ricostituito, saremo allora pronti alla Rinascita. 

(aulicino)